martedì 23 novembre 2021

L'EUCARISTIA, PEGNO DELLA RISURREZIONE, di Sant'lreneo

 

 
Il mosaico dalla cattedrale di San Michele Arcangelo a Kyiv


L'EUCARISTIA, PEGNO DELLA RISURREZIONE

 Sant'lreneo 

   Sant'lreneo di Lione (seconda metà del II secolo), originario dell'Asia Minore, è il primo grande teologo dell'età patristica. Il suo pensiero, d'ispirazione profondamente biblica, è nello stesso tempo semplice, vigoroso e profondo.


   Se, ricevendo la parola di Dio, il calice riempito e il pane preparato diventano l'Eucaristia, cioè l'azione di grazie del sangue e del corpo di Cristo, e se da essi è arricchita e fortificata la sostanza della nostra carne, come possono affermare che la carne non è capace di ricevere il dono di Dio, che è la vita eterna? Essa infatti è nutrita del sangue e del corpo di Cristo ed è membro di Lui, come dice bene l'Apostolo nella lettera agli Efesini: Siamo membra del suo corpo, formati della sua carne delle sue ossa (Ef. 5, 30). Non dice questo di un individuo spirituale e invisibile, poiché lo spirito non ha né ossa né carne (Le. 24, 39); ma parla dell'organismo autenticamente umano, formato di carne, di nervi e di ossa, l'organismo cioè che è nutrito dal calice del sangue di Cristo ed è fortificato dal pane del suo corpo.
   Il legno della vite, deposto in terra, dà frutto a suo tempo e il grano di frumento, caduto in terra (Gv. 12, 24), dopo essersi disfatto, risorge moltiplicato per opera dello Spirito di Dio che regge ogni cosa. Poi, in virtù della sapienza, il pane e il vino sono dati in uso all'uomo e, ricevendo la parola di Dio, diventano l'Eucaristia, che è il corpo e il sangue di Cristo. Allo stesso modo i nostri corpi, nutriti dall'Eucaristia, dopo essere stati deposti in terra ed essersi disfatti in essa, a suo tempo risorgeranno, quando il Verbo di Dio darà loro la Risurrezione per la gloria di 0;0 Padre (Fil. 2, 11). Egli darà l'immortalità a ciò che è mortale e - gratuitamente - renderà incorruttibile ciò che è corruttibile, perché la forza di Dio si manifesta nella debolezza (cfr. 2 Coro 12, 9).
    Nella consapevolezza della nostra condizione mortale, ci guarderemo dall'inorgoglirei e dall'innalzarci contro Dio con pensieri di ingratitudine, quasi ci dessimo la vita da noi stessi! Sapendo invece, per esperienza, che dalla sua grandezza e non dalla nostra natura abbiamo il dono di poter vivere per sempre, non negheremo a Dio la gloria che gli spetta e, nello stesso tempo, non ignoreremo la nostra natura. Conosceremo quale sia la potenza di Dio e quali benefici l'uomo riceva da lui. Non ci inganneremo sulla vera natura ed essenza di Dio e dell'uomo. Non ha forse Dio permesso - come abbiamo detto prima - la dissoluzione dei nostri corpi, perché, istruiti da ogni avvenimento, potessimo osservarli tutti con scrupolosa attenzione, non ignorando né Dio né noi stessi?...
    Come infatti l'uomo avrebbe potuto conoscere la sua natura inferma e mortale e, nello stesso tempo, l'immortalità e la potenza di Dio, se non sapesse per esperienza la diversità di entrambe le condizioni? Non c'è infatti niente di male nel conoscere - per fatica di esperienza - la propria infermità: mentre è un bene tanto maggiore avere una retta cognizione di quello che realmente siamo.




 Contra Haereses, Liber V, 2, 3; 3, 1 - Sources Chrétiennes, Le Cerf - Parigi 1969, 35-41.



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